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Trento, 11 marzo 2011
RIFORMA DELLA GIUSTIZIA: NON BASTA DIRE “NO”
di Marco Boato
pubblicato sul quotidiano Terra di venerdì 11 marzo 2011

Se in Italia non fosse in corso da tempo una sorta di “guerra civile” ideologica tra schieramenti contrapposti proprio sulla “questione giustizia”, l’appello che due giorni fa  il direttore di “Libero”, Maurizio Belpietro, ha rivolto a Massimo D’Alema, per invitarlo a riprendere l’iniziativa riformista della Bicamerale in tema di giustizia, avrebbe potuto avere un significato positivo. Anche se nell’articolo di Belpietro compaiono numerose inesattezze riguardo al testo della Bicamerale sulla riforma della giustizia, che portava il mio nome come relatore, non c’è dubbio che la riforma costituzionale sarebbe il terreno più adatto per riaprire – dopo l’esperienza troncata del 1997-98 – un reale confronto tra maggioranza e opposizione su un tema che conserva da decenni una drammatica attualità.

E’ vero che le vicende giudiziarie che riguardano il Presidente del Consiglio rendono minato il terreno, rischiando l’impraticabilità del campo, ma è altrettanto vero che il Pd – principale partito dell’opposizione - non può evitare di prendere atto che il Governo continua ad avere una maggioranza in Parlamento, che  le ipotizzate elezioni anticipate si allontanano nel tempo, la qual cosa cambia radicalmente lo scenario politico attuale, e che quindi un’opposizione che abbia una cultura di Governo non può limitarsi solo a continuare a chiedere, giorno dopo giorno, le dimissioni del Presidente del Consiglio, quasi con una sorta di coazione a ripetere priva di sbocchi politici reali. Nessuno immagina ovviamente che l’opposizione parlamentare debba attenuare i propri giudizi critici sul Governo (che sono ovviamente anche i miei), ma è difficile immaginare un’opposizione credibile che si limiti a raccogliere firme per le dimissioni e a rifiutare qualunque confronto parlamentare anche sui temi costituzionali, che per loro natura lo richiedono, essendo l’ipotizzata riforma della Costituzione qualcosa di diverso dalla contrapposizione fisiologica sui programmi di governo. Ed è questo confronto “costituzionale” che lo stesso Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, continua giustamente ad auspicare in ogni occasione.

Nel merito, la proposta di riforma costituzionale presentata dal Ministro Alfano riprende effettivamente molte delle tematiche che già erano state affrontate nella Bicamerale D’Alema del 1997-98, anche se su alcuni punti dà risposte più “radicali” di quelle faticosamente individuate in un anno di confronto “costituente” (ad esempio: separazione delle carriere anziché delle funzioni, due Csm anziché due sezioni dello stesso Csm). Le molte “bozze Boato” che si susseguirono nella Commissione Bicamerale erano il segno evidente di un sistematico e progressivo tentativo di trovare le possibili convergenze tra posizioni inizialmente molto lontane, non solo tra i due schieramenti, ma anche al loro interno. Tuttavia, dopo un anno di duro lavoro, il progetto di riforma costituzionale in materia di giustizia da me presentato ottenne l’approvazione quasi unanime da parte di tutto il centrosinistra (eccetto Rifondazione) e di tutto il centrodestra.

La proposta di riforma costituzionale presentata dal Ministro Alfano affronta alcuni temi largamente condivisibili, altri più discutibili. Ma si tratta, appunto, di una proposta iniziale, che deve essere ora sottoposta al lungo confronto parlamentare (con le procedure rafforzate previste dall’art.138 della Costituzione) e al dibattito pubblico da parte di tutti i soggetti interessati (magistrati, avvocati, docenti universitari, altri operatori del diritto, ma anche i cittadini interessati in generale). Rifiutarsi a questo confronto e a questo dibattito credo sarebbe un grave errore, anche perché i primi giudizi espressi “a caldo” in questi giorni non mi paiono finora all’altezza dei problemi istituzionali e costituzionali affrontati dalla proposta di riforma e mi paiono per ora ripetere soltanto schemi stereotipati. Sarebbe sbagliato se l’opposizione si limitasse a gridare e denunciare, senza entrare seriamente nel merito, come hanno auspicato anche esponenti del Pd come il senatore Enrico Morando, il costituzionalista Stefano Ceccanti e il segretario del gruppo parlamentare della Camera, Roberto Giachetti, che hanno fatto esplicito riferimento alla necessità da parte del centrosinistra di ripartire proprio dalle proposte della Bicamerale.

Non appare credibile invece una opposizione che si limiti semplicemente a dire ‘No’, che ponga come pregiudiziale le dimissioni del Presidente del Consiglio (cosa difficile, finché il Governo continua ad ottenere la maggioranza ad ogni votazione di fiducia, anche se può dispiacere a molti, me compreso ovviamente) o che addirittura dichiari improponibile una riforma costituzionale in quanto tale, dopo che il centrosinistra nel 1997-98 ha proposto un progetto organico di riforma assai più ampio e ambizioso di quello presentato dal Ministro Alfano. Altra cosa è riaffermare invece che, oltre al piano costituzionale, c’è quello della legislazione ordinaria, attraverso la quale fin da subito molti problemi potrebbero essere affrontati e risolti.

Il nuovo art. 111 della Costituzione (introdotto nel 1999, riprendendo una parte delle mie proposte in Bicamerale) recita solennemente: “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contradditorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”. Una parte di questi principi richiede una conseguente più ampia revisione costituzionale, ma, ad esempio, per “assicurare” la “ragionevole durata” del processo – che è un caposaldo della Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950 – è necessario intervenire con la legislazione ordinaria e con provvedimenti amministrativi e anche tecnologici.

E altrettanto dicasi per affrontare la spaventosa situazione delle carceri italiane e del loro vergognoso sovraffollamento, che le rende estranee al dettato costituzionale (art. 27: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”). Anche il centrosinistra ha le proprie responsabilità su questo terreno, per i periodi in cui ha governato. Riforme costituzionali e riforme con legge ordinaria e con provvedimenti amministrativi non sono necessariamente in contrapposizione ed è possibile affrontarle con uguale determinazione, battendosi contro le leggi “ad personam” e a favore di leggi per i diritti di tutti i cittadini. Ma bisogna farlo per davvero, senza alibi per la maggioranza e neppure per l’opposizione.

Marco Boato

 

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